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 Le Scuole Iniziatiche dell'Antica Saggezza MARTINISMO 
 
 
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 IL PASTO SACRO GIOVANNI ANIEL S.I.I. (FABRIZIO MARIANI) GRAN MAESTRO PASSATO DELL'ORDINE MARTINISTA UNIVERSALE 
 
 
 
 IL CONCETTO DI SACRO 
 Per il filosofo van der Leew la nozione di sacro è più antica e importante dell’idea di Dio, mentre il rapporto tra sacralità e naturalità è riaffermato, con riguardo all’ottica dell’uomo religioso primitivo, da Mircea Eliade nel suo “Trattato di storia delle religioni”, dove il sacro è visto e interpretato in relazione con le grandi polarità cosmiche. La grande scoperta che la nostra intuizione può compiere è che è possibile una concezione non religiosa del sacro; di conseguenza, libera dal condizionamento della religio intesa come legame, la sacralità afferma la sua presenza come categoria dello spirito. Dal sacro, piaccia o no, non si prescinde: sacro, ammette il sociologo Ferrarotti, è il meta-umano che più occorre alla convivenza umana, pena l’appiattimento del vivere, ossia pena la perdita dì ciò che vi è di propriamente - unicamente - umano nell’uomo. Questa premessa è necessaria perché consente l’individuazione di quello spazio interiore che nell’ambito iniziatico ha occasione di dilatarsi oltre le comuni misure dell’aritmetica. Sacro è anche - possiamo dire - l’appiglio e la condizione per la trascendenza che l’iniziato avrà saputo recuperare nel suo difficile e sofferto rapporto con il Sé transpersonale. A questo punto - ed è la chiave di volta per una chiara comprensione del seguito di questo discorso - il sacro, per sua natura illimitato e indefinito, si pone come parametro di ogni azione umana, che, in un ottica di consapevolezza crescente, deve trasformarsi in un rito. E questo è un dovere per ogni uomo, se è vero, come è vero, che la nostra vita altro non è che una lunga serie di occasioni di evoluzione offerte dall’esperienza, e a maggior ragione la trasformazione dell’agire in una rituaria permanente e un dovere per l’iniziato che ha, o dovrebbe avere, inteso i meccanismi di avviamento alla comprensione dei piccoli e dei grandi misteri. Voi sarete per me - dice il Signore nell’Esodo (19;6) — un regno di sacerdoti, un popolo sacro. Nella lingua ebraica, la radice qdsh, da cui derivano qedushàh (santità) e qadosh (sacro), aveva in origine il significato, non necessariamente positivo, di separazione, di distinzione; e la lingua ebraica conserva i segni di questi significati originari in alcuni termini, come ad esempio qadèsh e qedeshàh che indicano, al maschile e al femminile, coloro che si dedicano alla prostituzione sacra. Il significato originario del termine qadosh (separato, distinto) illustra i limiti e lo spazio, fondamentalmente materiali, in cui l’ebraismo inserisce la propria concezione del sacro. Il sacro, cioè, deriva da una scelta che ha, per l’appunto, come campo di azione, le cose di tutti i giorni, prima ancora delle idee e dei pensieri. 
 L’ASSIMILAZIONE DEL CIBO 
 Assimilare,in senso stretto, significa rendere simile: mangiando, io trasformo la sostanza presa dall’universo e la faccio mia. Tutto quello che entra in me come cibo appartiene all’elemento  , essendo 
            la  la raffigurazione del mondo della 
            manifestazione (superfluo ricordare che, parimenti, tutto ciò che 
            entra in me come emozione o psichismo appartiene all’elemento  , mentre i pensieri che mi arrivano sono dell’  e le istanze spirituali attengono alla sfera del  ). Assumere il cibo è, tra le funzioni non automatiche 
            dell’uomo, la più propria, chiusa come è nella circolarità dell’io 
            eludente, di necessità, quegli scambi energetici a due che sono il 
            fine della funzione sessuale (il maschio che ha bisogno della 
            femmina e viceversa, o, meglio, la prefigurazione di un equilibrio 
            da conseguire tra  e  ). Di 
            tutte le cose che sono fuori di me, il cibo è specificatamente mio 
            come nessuna altra cosa: non il figlio, non il partner, non gli 
            abiti, non la casa, tutte alterità, sul piano di Malkuth, non 
            connesse con quella funzione di accrescimento che è, in definitiva, 
            a tutti i livelli, lo scopo cui tende, consciamente o no, ogni uomo, 
            fin dal suo primo vagito (può essere interessante notare di sfuggita 
            che nel termine latino mactare, dal quale deriva l’italiano 
            mattatoio, è già nascosto l’originale significato 
            etimologico che è quello di magis auctus, cioè: rendere più 
            grande, accrescere). Mangiando, accresciamo il nostro patrimonio 
            fisico-energetico e abbiamo, di conseguenza, la possibilità di 
            operare quotidianamente nel mondo, nel nostro campo specifico dì 
            battaglia: di ogni altra cosa si può fare a meno, ma 
            dell’assimilazione del cibo (comprese, ovviamente, anche le bevande) 
            non è possibile perché si muore. Ma, a differenza della respirazione, l’assunzione del cibo non è un processo automatico. Per mangiare, cioè per sopravvivere, l’uomo deve organizzare il mondo e organizzare se stesso scegliendo, tra le cose che il mondo gli offre, quelle più adatte al suo equilibrio biologico e al metabolismo che varia da individuo a individuo. Le specie del cibo, pertanto, sono differenti, non solo perché commisurate alla necessità di ognuno, ma anche perché possono variare per motivi climatici e ambientali. Riemerge, a questo punto, quel concetto di scelta e di distinzione sotteso nella radice ebraica qdsh. 
 
 IL PASTO SACRO 
 Fin qui abbiamo fatto cenno al meccanismo occulto dell’assimilazione. Il passo successivo riguarda l’assimilazione in stato dì risveglio, cioè in chiave iniziatica. Per l’iniziato, ogni azione deve trasformarsi in un rito, in una consapevolezza costante: è per questa ragione che non si insisterà mai abbastanza sulla necessità dell’allineamento dei corpi, primo passo verso la purificazione. 
			Nel pasto sacro avviene che la sostanza, presa 
            dall’universo e assimilata passa (o dovrebbe passare) all’interno 
            dell’uomo, preso nella sua globalità, dalla 
			 Qui si innesta il discorso sulle specie del pasto sacro, che sono innumerevoli. La linea tradizionale prevede generalmente l’assunzione del pane e del vino; ma in un’ottica di consapevolezza, cioè magica, altre specie possono essere assunte, compresa la carne animale, a condizione che si abbia l’avvertenza di non associarla, in alcun modo, con il latte e con i derivati del latte. La carne merita un discorso a sé, che un giorno sarà fatto, e che sottende tutta la rituaria connessa con i sacrifici animali e il conseguente interscambio energetico tra gli dèi e l’operatore (che è, o dovrebbe essere, un pontefice, cioè un costruttore di ponti tra questo mondo e gli altri). Le specie del pasto sacro, ovviamente, sono sacre, allo stesso modo che il popolo sacro e regno dei sacerdoti è l’insieme delle persone che si raccolgono intorno alla tavola, cioè all’altare. La nostra scienza afferma che la forza di una catena è rappresentata dal suo anello più debole: affiora di nuovo, qui, la necessità della purificazione, sì che ognuno dei partecipanti al pasto sacro possa prendere dal macrocosmo il massimo che c’è da prendere e, al tempo stesso, distribuire ai co-operatori energie il meno possibile spurie. All’altare ci si accosta con le mani monde. (E un discorso a parte si farà sulle abluzioni e sull’acqua lustrale, elementi non di secondo piano nel processo di purificazione). E’ di vitale importanza comunque, a prescindere dallo stato purificatorio che si è conseguito, che il pasto sacro sia consumato in uno stato di totale consapevolezza, condizione indispensabile perché un rito abbia validità. E chiudiamo con una citazione evangelica (Marco 7;14 23) che è una sorgente inesauribile di meditazione, anche per quanto riguarda il pasto sacro e le sue specie. E, avendo di nuovo chiamato la folla, disse: “Ascoltatemi tutti e capite: non vi è niente fuori dell’uomo che possa contaminarlo entrando in lui; ma è ciò che esce dall’uomo che contamina l’uomo. Che ha orecchi per intendere, intenda”. Ed entrando in casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli gli domandarono il significato della parabola. E disse loro: “Così dunque anche voi siete senza intelletto? Non comprendete come tutto quello che entra dal di fuori nell’uomo non può contaminarlo, perché ciò non gli entra nel cuore, ma nel ventre, e se ne va a finire nel cesso?”. E così dichiarava puri tutti i cibi. Ora egli diceva: “Quello che esce dall’uomo è invece ciò che contamina l’uomo. Infatti dal dI dentro, dal cuore degli uomini, escono i cattivi pensieri: dissolutezze, ladrocini, assassini, adulteri, cupidigie, cattiverie, frode, impudicizia; invidia, diffamazione, orgoglio, stoltezza. Tutte queste cose malvagie vengono dal di dentro e contaminano l’uomo”. Ma l’uomo di desiderio è — o dovrebbe essere — già oltre le soglie del sonno. Il pasto sacro è uno degli strumenti preziosi che abbiamo affinché quanto esce da noi sia, un giorno, immune da macchia. Perché ciò accada, questa rituaria, questa attitudine all’attenzione costante, non può essere episodica, ma quotidiana e costante e investire ogni aspetto della nostra vita. Perfino l’escrezione dei rifiuti, la restituzione del superfluo alla terra perché se ne nutra, ha un profondo significato occulto per chi sappia vederlo. La chiave di tutto è ancora una volta la consapevolezza costante, l’attenzione sul qui e sull’adesso. 
 
 
			   
             
			Sempre e comunque, mangiare significa operare una 
            trasformazione. Significa cioè trasformare in elementi 
            assimilabili, in sostanza, la materia dell’universo, 
            significa operare il passaggio dalla materia all’energia e 
            nell’attimo di questo passaggio - lì può avvenire il miracolo 
            della consapevolezza. Improvvisamente, se assumi il cibo con 
            consapevolezza, scopri che qualcosa è accaduto: la 
            materia esterna si trasforma in energia e tu sei quell’energia. 
             
			IO SONO. È un lampo che nel discorso articolato, di 
            necessità si perde: occorre il soccorso dell’intuizione e 
            dell’esperienza.  
			MANGIARE - ASSIMILARE - INTROITARE L’UNIVERSO - 
            PLACARE IL DIVENIRE NELL’ESSERE: IO SONO EHIEH 
			 Vediamo. Kether è il primo manifesto, la prima emanazione dell’essere dal mondo del Non-essere e dell’Indicibile EN-SOF. La sostanza indifferenziata, Colui che non ha Nome, l’esistenza negativa di Dio, diviene atto continuo nella manifestazione, in questo mondo del qui e dell’adesso, nella sterminata regione dei corpi e delle forme, dove la Luce, quando arriva, arriva filtrata dal nostro modo di essere, di percepire e di sentire. E’ il mondo di Schopenhauer, inteso come volontà e rappresentazione. Non dire: IO MANGIO, ma dire: IO SONO MANGIANTE; per brutto all’udire che sia, è più efficace. E’ una presenza. L’IO SONO nell’azione - nel caso specifico: nell’azione dell’assunzione del cibo - è un’ammissione di consapevolezza e di continuità. Abbiamo fatto approdare in noi, dalla sostanza indifferenziata, dall’inesplorato ed inesplorabile EN-SOF, la Materia Prima dell’universo che si fa esplicita nel bianco abbagliante di Kether. EN-SOF, sostanza indifferenziata, esistenza negativa. Non-essere, è, da noi, più lontano e inaccessibile del più lontano astro del cielo; al tempo stesso - su un piano di consapevolezza assoluta - è in noi stessi, anzi è l’unica cosa che, in noi, abbia realtà e inalterabilità. Ma ho bisogno di saperlo, ma bisogna esserne consci; altrimenti è come se EN-SOF in noi non fosse. Anzi: non è. È il mistero del Dio Sconosciuto. Esiste, nella rituaria del N:::V:::O:::, un importante strumento operativo. E’ l’invocazione alla Luce che recita così: EN-SOF! Assoluto! Dio Infinito ed eterno! Innominabile ed innominato! La mia voce si alza verso Te! Ti sei manifestato in Kether, la corona dell’Albero della Vita, per mezzo della quale hai creato Malkuth, il Reame. Tu sei la Causa Prima, la Causa delle cause! Tu sei onnipresente e l’essenza di tutte le cose, tu sei il mio unico Dio, Trinità manifestantesi in sette correnti. Da te vengo, a te ritornerò. Io sono il tuo riflesso. Tu mi hai creato a tua immagine. Tu sei me ed io sono in te. Io ti riconosco come padre. Benedicimi ed accettami come canale delle tue forze per mezzo delle quali la tua volontà ed i tuoi miracoli si realizzano. Gloria a te, padre mio. Meditate su queste parole e, nell’assunzione del pasto - di qualunque pasto, beninteso - ponetevi in contatto con la vostra realtà ultima, con l’EN-SOF che vi fa uscire dal mondo dei dormienti. Accendetevi, infiammatevi, ardete. Pensate... io sono il tuo riflesso... tu sei me ed io sono in te... benedicimi e accettami come canale delle tue forze...; sono tutti strumenti di potenza per trasformare in fuoco la terra assunta con il cibo e, insieme con essa terra, l’operatore, cioè voi stessi, voi nel momento che mangiate la materia dell’universo, voi che, in quel momento preciso - non un attimo prima, non un attimo dopo - trasformate in sostanza, in fuoco, in energia quella materia. Sostanza, Fuoco ed energia che sono, in voi, divenire inesauribile, a condizione che il vostro rapporto con il macrocosmo, sia un rapporto di consapevolezza costante, da potenza a potenza, costante, cioè non episodico, non saltuario, non sporadico. E mentre mangiate - anzi, mentre fate qualsiasi altra cosa che siate riusciti a trasformare in rito - ripetete mentalmente e con forza EHIEH, IO SONO, e, con il rito, assorbite questa potenza assoluta che è vostra fin dall’inizio dei tempi. 
 
 
			Si è insistito più volte sulla necessità che ogni 
            nostra azione sia trasformata in rito. Tutti conosciamo le 
            difficoltà di applicazione di un proposito del genere e tutti 
            abbiamo sperimentato e sperimentiamo quanto sia facile dimenticare 
            il Proposito, cioè dimenticare se stessi. Ma è opportuno ricordare 
            che soltanto gli spiriti pensosi di se stessi possono accedere ai 
            vari gradi dell’iniziazione, dagli infimi ai supremi. Non è il caso 
            di scoraggiarsi: un giorno, di colpo, la consapevolezza si accenderà 
            e sarà non discontinua. Ma la condizione, il prezzo da pagare è che 
            durante il nostro stato abituale di sonno - siamo dormienti che 
            vogliono svegliarsi - le pratiche, tutte le pratiche, siano seguite 
            con assiduità e ritmo, come se già le nozze mistiche con il Sé 
            fossero già avvenute. Pei il momento circoscriviamo l’attenzione 
            all’assunzione quotidiana del cibo, ma non dimentichiamo - giova 
            ripetersi - che ogni altra nostra azione quotidiana (le abluzioni 
            mattutine e serali, l’escrezione, il lavoro profano, il sesso) deve 
            essere fatta in stato di consapevolezza, ovviamente con tecniche che 
            variano dall’una all’altra e che, a suo tempo, saranno 
            indicate. Della rituaria quotidiana nell’assunzione del cibo 
 Una premessa: ogni giorno è retto da un pianeta e dal relativo arcangelo, o genio, in base alla tabella che segue: 
 
 
 
 Ogni volta che, nella giornata, si è in procinto di assumere il cibo (fosse pure il caffè al bar aziendale) si rivolga una muta preghiera di ringraziamento all’arcangelo della giornata. Questa preghiera, che è cardiaca (cioè: che presuppone, nell’operatore, una attitudine di coppa) deve essere connotata da due elementi: 
			1) profonda gratitudine perché anche oggi l’universo 
            ha messo a nostra disposizione elementi di accrescimento perché ce 
            ne cibassimo; 
 
			Dell’accumulo di 
            energia 
			L’energia accumulata sarà spesa: è questa la ragione 
            per la quale siamo costretti a mangiare tutti i giorni. Ma 
            soffermiamoci un momento sulla necessità dell’accumulo. 
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